Archivi tag: svalutazione

Uscita dall’euro e svalutazione

Ho sempre sostenuto che all’Italia conviene uscire dall’euro e tornare ad una propria valuta nazionale non per gli eventuali vantaggi di una svalutazione della “nuova lira”, ma per riprendere il controllo sulla politica fiscale e sulla politica monetaria, e quindi sul costo di finanziamento del debito pubblico. In aggiunta, ho sempre sostenuto – ad esempio nei nostri rapporti sulla Grecia – che gli squilibri dell’area euro sono dovuti alla Germania, più che ai paesi periferici.
Mi sembra che il “dibattito televisivo” sull’argomento si concentri invece sull’entità  della svalutazione della “nuova lira” in caso di uscita dall’euro, dove i sostenitori dell’euro prediligono l’immagine delle “carriole” di lire da usare per far la spesa, dopo una svalutazione della nuova lira del millantamila per cento.
Un indicatore che si può utilizzare per dare qualche conforto empirico all’entità  di una svalutazione – certo non il più appropriato – è un indice dei prezzi dei Paesi della zona Euro. Nel grafico che segue riporto il valore di uno di tali indicatori, costruito a partire dai deflatori della domanda interna di fonte Eurostat. Fatto pari a 100 il livello dei prezzi in tutti i Paesi nel 2000, ho calcolato l’indice al 2013 – usando l’ultimo dato disponibile per il maggior numero di Paesi – ed il valore al 2013 per la zona euro risulta di 126,7. In altri termini, i prezzi nel 2013 sono del 26,7% più alti che nel 2000, in media nell’intera zona euro. Ho sottratto tale valore all’indice dei prezzi di ciascun Paese, per mostrare rapidamente in quali Paesi l’inflazione è stata più alta, e di quanto, e in quali Paesi è stata inferiore. Come si nota dal grafico, la Germania ha la minore crescita dei prezzi, con un indice pari 116,9, mentre l’Italia ha un indice pari a 132.
DomesticPriceDeflatorEZ
Se la fine dell’euro e la reintroduzione delle valute nazionali viene seguita da rivalutazioni/svalutazioni tese a ripristinare lo stesso indice di prezzo in tutti i Paesi, dal grafico risulta evidente che il riallineamento maggiore spetterebbe alla rivalutazione del “nuovo marco” tedesco”. Per la “nuova lira” una riduzione del 4% nell’indice dei prezzi è sufficiente a ripristinare un rapporto paritario con gli altri Paesi.
E’ evidente, perlomeno agli addetti ai lavori…, che i calcoli che riporto soffrono di numerose approssimazioni, ma ritengo che tali approssimazioni non inficiano i risultati fondamentali, e cioè (1) più che una svalutazione delle nuove valute dei Paesi periferici è necessaria una rivalutazione del “nuovo marco” tedesco, e (2) l’entità  delle svalutazioni/rivalutazioni necessarie al riallineamento dei prezzi sono molto minori rispetto ai “dati televisivi”.

E’ anche interessante aggiungere al grafico precedente altri tre Paesi esterni all’area dell’euro, che l’Eurostat include nelle stesse tabelle in cui pubblica le componenti della domanda interna a prezzi correnti e costanti, e cioè Stati Uniti, Regno Unito e Giappone.
DomesticDemandDeflator2Ez
Come si nota, per questi tre Paesi l’indice dei prezzi – calcolato in euro – è cresciuto molto meno che nell’eurozona. Questo per la rivalutazione dell’euro rispetto a queste valute: un euro si scambiava con 92 centesimi di dollaro nel 2000, e con 1,31 centesimi nel 2013 (rivalutazione del 42%), e per il Giappone alla svalutazione dello yen si aggiunge la deflazione interna.
Il secondo grafico conferma un altro dato significativo: una svalutazione, anche sostanziosa, di una valuta rispetto ad un’altra non implica necessariamente un aumento considerevole delle esportazioni del Paese a valuta debole. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto inondare la zona Euro con i loro prodotti, e invece la quota dell’export americano verso la zona Euro è scesa dal 16% del 2000 al 14,7% del 2013 (fonte Federal Reserve). Se il prezzo relativo è una determinante del commercio internazionale, non sembra esserne la determinante fondamentale, e quindi puntare sulle svalutazioni – piuttosto che sull’innovazione – per risollevare l’export e l’occupazione in Italia non sembra la strategia vincente.

Share

Gli ingenui (?) apologeti dei prezzi flessibili

Keynes Blog pubblica oggi una traduzione di alcuni brani di Kaldor, in cui rivede le sue posizioni in favore della flessibilità  del cambio come strumento di aggiustamento dei conti con l’estero. L’articolo chiude riallacciandosi ad una frase polemica del Monito degli economisti sulle “ingenue apologie del cambio flessibile” che, a mio avviso, era una frecciata di Emiliano Brancaccio ad Alberto Bagnai, frecciata che stonava con il resto del “Monito” (che ho sottoscritto lo stesso, perché mica si può sottocrivere solo quando tutte le virgole sono a posto). Trovo questa polemica con Bagnai sterile e dannosa. In primis, non mi risulta che Bagnai abbia mai detto che ripristinare cambi flessibili sia condizione sufficiente a far sparire i problemi dell’Euro zona. Come ho ricordato qui, il vero confronto è con la Troika che sostiene che (Mersch)

Per facilitare una ripresa trainata dalle esportazioni, questo trend [di riduzione nella competitività ] deve essere corretto e non ci sono alternative nel breve periodo ad un aggiustamento di prezzi e costi.

Mi pare che Bagnai abbia sempre argomentato su questo piano: voi che credete nella (o fate finta di credere alla) flessibilità  dei prezzi e dei salari come soluzione alla eliminazione degli squilibri, perché mai non credete anche nella flessibilità  del prezzo delle valute? Ma questo non implica una apologia del cambio flessibile. Altrimenti Bagnai non continuerebbe ad apprezzare gli interventi in cui sostengo che, se l’Italia uscisse dall’euro – come dovrebbe fare al più presto – ciò non implica necessariamente una svalutazione della “nuova lira”.

Share

Il commercio estero dell’Italia

Ho avuto alcuni commenti al post di ieri che sostenevano che il miglioramento nei conti con l’estero è dovuto solo alla crisi, che ha ridotto i nostri acquisti dall’estero (le importazioni). I grafici che seguono mostrano che, se è vero che le importazioni sono diminuite insieme ai consumi degli italiani, come è naturale, le esportazioni verso i Paesi extra-europei sono aumentate. Il punto che mi interessa confutare è che l’Italia abbia soprattutto un problema di competitività  esterna, da risolvere tagliando i salari (se si rimane nell’euro) o svalutando (se si esce dall’euro). Esportazioni di merci Importazioni di merci Saldo merci La fonte dei dati è Istat, Importazioni ed esportazioni per paese e merce Ateco 2007.

Share

Uscita dall’euro = svalutazione?

Vorrei commentare un recente articolo di Alberto Bagnai apparso su Libero, dove afferma che, in caso di uscita dall’euro “il riallineamento atteso [della nuova lira] è dell’ordine del 30%, distribuito lungo l’arco di almeno un anno”. Avevo scritto un anno fa che una svalutazione del 25 percento di una “nuova lira” era sufficiente a ripristinare la competitività  di prezzo con la Germania. Le cose non sono cambiate di molto, ed è sempre vero che è necessario un riallineamento della competitività  di prezzo con la Germania, ma se guardiamo ai nostri conti con l’estero, l’Italia non ha un problema di competitività . Italia. Conti con l'estero (I dati sono medie mobili annuali, calcolate sui conti economici nazionali per settore istituzionale, fonte Istat) Il grafico mostra che, nonostante l’euro, l’Italia incassa dall’estero più di quanto non paghi. Certo, vendiamo poco in Germania, ma compensiamo con le nostre esportazioni fuori dall’area dell’euro. Se dovessimo uscire dall’euro ed adottare una “nuova lira”, non è detto che questa si svaluterebbere rispetto al dollaro U.S.A., anche se potrebbe svalutarsi rispetto all’euro (anche se è plausibile che l’uscita dell’Italia dall’ euro segni la fine dell’euro stesso, e in quel caso la “nuova lira” si svaluterebbe rispetto al “nuovo marco”). E’ la Germania che dovrebbe rivalutare… E quindi i ragionamenti di Alberto sono pessimisti (!): passare ad una “nuova lira” non implica necessariamente che le materie prime – di solito “prezzate” in dollari – costino il 30% in più. Avevo già  argomentato sulla stessa linea qui, il grafico sopra aggiorna un grafico simile che già  avevo pubblicato, e mostra un ulteriore miglioramento dei conti con l’estero.

Share

Dopo l’euro…

C’è un timore diffuso che una eventuale uscita dall’euro dell’Italia, con il ritorno ad una valuta nazionale, sarebbe una catastrofe, perché la “nuova lira” si svaluterebbe rispetto all’euro in modo consistente, questo farebbe aumentare i prezzi dei beni importati, in particolare petrolio ed energia, e l’inflazione aumenterebbe in modo vertiginoso, costringendoci a far la spesa con carriole di banconote.
Se si tornasse ad un sistema in cui il prezzo della valuta nazionale viene deciso da domanda e offerta di valuta nazionale contro valuta estera, qual’è davvero la posizione dell’Italia?
La domanda netta di una valuta dipende dalla differenza tra gli incassi del Paese e i pagamenti fatti all’estero, che a loro volta hanno origine da (1) scambi commerciali; (2) trasferimenti, come il pagamento di interessi; (3) operazioni finanziarie come l’acquisto di titoli.
ch_01
Il saldo commerciale dell’Italia – per le merci – è riportato nel primo grafico, che utilizza dati mensili Istat, cumulati su dodici mesi. Da Agosto 2012 il saldo è tornato positivo, per il crollo delle importazioni dovuto alla crisi, ma anche per la crescita delle esportazioni.

ch_02

Il secondo grafico mostra l’andamento delle vendite di merci italiane agli altri Paesi dell’Unione europea, e al resto del mondo. Si nota come l’andamento delle vendite verso l’Unione europea, in gran parte ferma per le politiche di austerità , abbia ristagnato, mentre sono aumentate le vendite verso Paesi terzi, con una perdita del peso relativo del mercato europeo come collocazione delle nostre esportazioni.

ch_03

Il terzo grafico riporta il saldo tra incassi e pagamenti in conto corrente, insieme al saldo commerciale per le merci. I pagamenti totali sono ancora superiori agli incassi, e quindi da qui emerge una domanda netta di valuta estera (che spingerebbe alla svalutazione di una valuta nazionale). Ma qual’è a differenza tra saldo commerciale e bilancia delle partite correnti? Oltre al saldo del commercio di servizi, in sostanziale pareggio, le altre voci riguardano i redditi da lavoro (rimesse degli immigrati) ma soprattutto i redditi da capitale, e cioè gli interessi che gli italiani (governo e settore privato) pagano all’estero in ragione dei prestiti ricevuti, al netto degli interessi incassati.

ch_05

E’ questa voce, insieme ai trasferimenti netti, a tenere il nostro saldo con l’estero in deficit. Una parte consistente dipende dai tassi di interesse elevati pagati ai creditori esteri (lo spread!), che progressivamente sparirebbero con le modifiche alle regole del gioco che seguirebbero l’uscita dall’euro.

Quindi, se uscendo dall’euro si riducono i trasferimenti netti all’estero e il pagamento di interessi, non c’è alcuna pressione verso la svalutazione dal conto corrente. Tradotto: siamo competitivi. C’è sempre, ovviamente, la possibilità  di attacchi speculativi sui mercati finanziari, e ci sono gli strumenti per evitarla.

E, per inciso, se l’Italia è in crisi e abbisogna di riforme strutturali, di precarizzare il lavoro, di ridurre i costi ecc ecc ecc, come mai le nostre imprese (almeno alcune!) vendono all’estero sempre di più? Evidentemente i problemi sono altri.

Ma allora…se non abbiamo necessità  di svalutare il cambio, perché uscire dall’euro? Per ottimi motivi: riprendere il controllo dei tassi di interesse, che al momento trasferiscono troppo reddito ai creditori, e per farla finita con l’austerità  e tornare a creare lavoro.
[segue]

Share

Uscire dall’euro?

Giuseppe Trucco mi chiede di replicare ad alcune argomentazioni sulle conseguenze di una uscita dell’Italia dall’ euro.

Svalutazione 25%-30%…e perchè non 50% o 70% …

una svalutazione del 25% e’ sufficiente a ripristinare il differenziale di competitività  di prezzo con la Germania

dobbiamo immaginare che per molto tempo avremo un’inflazione importante (con le svalutazioni competitive è sempre successo): tutte le materie prime costeranno di più, è un film che abbiamo già  visto

Ancora sull’inflazione, una Nuova Lira ne porterebbe con sè molta, come già  detto e già  visto (e chiedete agli Argentini), qualcuno dovrà  dire alle classi più deboli ed ai risparmiatori che saranno (e questa è una certezza matematica) più poveri

2) l’inflazione si origina da un conflitto non risolto nella distribuzione del reddito da produzione tra impresa, lavoratori, governo e fornitori esteri. Una svalutazione che aumenta il costo dei beni esteri non ha effetti inflativi se il governo riduce, ad esempio, le imposte indirette, o se le imprese accettano (perché costrette) una riduzione nei margini di profitto. àˆ quella che si chiama “politica dei redditi”

o i tassi dei nuovi BOT/BTP saranno cosଠalti da più che compensare gli importanti tassi di inflazione, con ovvi danni per le casse dello stato ed oneri per i contribuenti, oppure verranno “imposti” a BOT/BTP (da chi? come? con queli risorse?) tassi più bassi dell’inflazione (tassi reali negativi), ma in questo caso chi se li dovrebbe comprare visto che la perdita contro l’inflazione sarebbe garantita senza alcun altro vantaggio (rating, sicurezza dell emittente, valuta)?

  • se non ci sarà  inflazione non aumenteranno neanche i tassi di interesse
  • tassi di interesse superiori alla crescita del valore della produzione sono comunque non sostenibili, per cui argomentare che il risparmiatore vorrebbe un tasso di interesse del – poniamo – 5 per cento quando l’inflazione è al 2 per cento e la produzione non cresce non ha senso
  • l’uscita dall’euro ha un senso se si ripristina la possibilità  per la Banca centrale di garantire il finanziamento residuale del debito pubblico. Dato che l’Italia ha un surplus primario, la possibilità  di rinnovare il debito a tassi di interesse sufficientemente bassi eliminerebbe, dalla sera alla mattina, la necessità  di politiche di austerità 
Share